L’Italia è seconda in Europa per l’uso pro-capite di acqua potabile, ma la disponibilità di acqua, secondo le previsioni, calerà fino al 40% entro il 2080 a causa del rischio desertificazione del 28% del territorio del nostro Paese.
In Italia l’approvvigionamento di acqua potabile proviene per l’85% dalle acque sotterranee che sono alimentate dalle piogge. Tuttavia, negli ultimi quattro anni il nostro Paese ha subìto 81 volte danni da siccità prolungata e, per questo, è diventata sempre più problematica la fornitura di acqua potabile, soprattutto nelle isole.
Nonostante vi siano 8300 km di costa e, quindi, un enorme accesso alle acque marine, il mare è una fonte di approvvigionamento di acqua potabile soltanto per lo 0,1% del rifornimento idrico nazionale totale.
L’acqua di mare viene resa utilizzabile per usi alimentari, l’agricoltura e l’industria attraverso gli impianti di dissalazione. Questi impianti hanno lo scopo di ridurre la concentrazione salina fino a renderla potabile. Tuttavia, non eliminano completamente la presenza dei sali perché l’acqua potabile non ne deve essere priva, ma devono essere presenti in quantità <1000 mg/L. Gli impianti di dissalazione si basano soprattutto su processi termici o di filtrazione a membrana.
I dissalatori a processi termici si avvalgono sostanzialmente di sistemi di distillazione dell’acqua. Di fatto, l’acqua marina viene riscaldata a 90-110 °C in modo tale da farla evaporare. Il vapore ottenuto viene condensato grazie a tubi raffreddati e quindi raccolto allo stato liquido. I processi di evaporazione e condensazione in impianto sono stati resi estremamente efficiente da un punto di vista energetico. Infatti, l’evaporazione e la condensazione sono “accoppiate” in stadi successivi. Questo significa che parte del calore latente sprigionato dalla condensazione dell‘evaporazione dell’acqua viene recuperato attraverso i processi di condensazione per preriscaldare l’acqua marina in entrata.
I dissalatori a processi di membrana si basano, invece, sul fenomeno dell’osmosi inversa. L’osmosi inversa prevede l’applicazione di una pressione dalla parte della membrana a contatto con la soluzione più concentrata (in composti salini) in modo che l’acqua scorra attraverso la membrana verso la soluzione meno concentrata, lasciando i sali sulla membrana. Questo processo è assai efficace, ma richiede una grande quantità di energia per avvenire.
Entrambi i processi producono come maggiore scarto la salamoia, cioè un concentrato di sali che – poiché si smaltisce con grande difficoltà – spesso viene rigettata in mare impattando gli ecosistemi. L’impatto è tale che si è rilevata un’alta mortalità nella fauna e nella flora marina laddove è stata sversata.
Inoltre, nelle zone di smaltimento poiché viene a crearsi una forte salinità, un fattore importante per la crescita della temperatura delle acque marine.
Generalmente, per ogni litro di acqua desalinizzata si produce 1,5 L di salamoia.
In Italia esistono 40 impianti di desalinizzazione e, per altro, non tutti sono funzionanti. Questi impianti producono quotidianamente circa 2000 m3 di acqua dolce. Seppur d’impatto, questo numero è esiguo e dipende da diversi fattori tra cui il fatto che il loro utilizzo è contestualizzato solo a casi di emergenza idrica. Questa scelta è consapevole e volta alla salvaguardia del mare dalla salamoia riversata.
ATTIVITA’: fai una ricerca su Internet e, su una cartina dell’Italia, segna la posizione dei dissalatori presenti nel nostro territorio. Fai una riflessione su ciò che riscontri.